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martedì 28 aprile 2009

Spigolature:Dalì e Hitchcock: un incontro mancato

http://blog.cinema.it/post/167/dali-e-hitchcock-un-incontro-mancato-per-le-scenografie-oniriche-di-io-ti-salvero-1945

Strati mobili. Video contestuale nell’arte e nell’architettura.


Strati mobili.


Strati Mobili, scritto dai fondatori di Elastic, gruppo che si occupa di video arte contestuale, è un libro, che affronta, svelandole, le dinamiche sia procedurali sia estetiche, connesse alla realizzazione di istallazioni video. In un percorso denso di riferimenti storici, di postulati teoretici , di personaggi illustri ed eventi performativi , scopriamo come la video arte sia uscita dalla white box dei musei, per conquistare i campi sterminati della città ed il territorio contestualmente globale. Il libro, diviso in capitoli diacronici, affronta il tema da più direzioni, convogliando il lettore infine in un volo panoramico esauriente su tutto che attualmente ha fatto e continua a fare video arte/architettura. Nella prima parte del libro si pongono le basi teoretiche dell’operare. Gli autori, nel ripercorrere le conquiste della video arte, individuano nei futuristi i precursori delle arti visive. I futuristi, visionari in un’epoca che non offriva ancora la possibilità di esperire e di manipolare l’immagine video, auspicavano l’interazione con l’opera d’arte, desiderando di entrare in essa come protagonisti. Il richiamo alla Bigness, enunciata da Rem Koolas, svela la matrice dell’operare in contesti di grandi dimensioni, coinvolgendo un numero elevato di persone, spettatori/protagonisti dell’evento. La problematica dello schermo e della profondità dello stesso, resa attraverso l’inserimento di layer e piani che dilatano lo spazio all’infinito, individua il modo che la video arte percorre per liberarsi della bidimensionalità dell’immagine, acquisire nuove profondità, inedite capacità di emozionare e spiazzare il fruitore dell’opera. Il campo visivo dei video si allarga e si stratifica, i piani narrativi si moltiplicano integrandosi. I campi della progettazione abbracciano le problematiche della città in maniera trasversale, interpretate da sociologi, architetti, urbanisti ed artisti, fotografi etc. I punti di vista possono a questo punto diventare multipli, teoricamente la macchina stessa può esprimerne uno proprio, discostandosi dal fatto narrativo proprio della coscienza umana. Il libro svela le direzioni che in futuro prenderà la video arte, non si può sicuramente prescindere dalla lettura di questo testo per cogliere le novità che ci aspettano nella descrizione e realizzazione della città. I fatti narrativi, integrati alle facciate, arricchiranno l’architettura stessa di nuove spazialità; potranno restituire identità a parti dismesse della città, nuove suggestioni ad edifici storici. L’integrazioni tra immagini e architettura costruita hanno rivelato nelle sperimentazioni, la capacita di dilatare e metaforizzare lo spazio. Le musica e le immagini non si limiteranno ad essere degli orpelli audiovisivi, entreranno in comunicazione reale con i fruitori, spettatori consapevoli a cui richiederanno sempre più, una interazione reale, un parere. Secondo questa ipotesi l’archeologia del futuro leggerà la città come palinsesto informativo, gratterà le facciate dei palazzi per ricostruirne la storia dispiegatasi nella infosfera.

Stanze Ribelli. Immaginando lo spazio hacker


Stanze ribelli


Stanze Ribelli, di Levi e Schachter, racconta di un atteggiamento, quello hacker, trasposto all’architettura. Per noi comuni utilizzatori di sistemi informatici, sicuramente la parola hacker evoca pericolosi fantasmi, in realtà i cracker, ma scopriremo grazie alla lettura del libro che l’aspetto che pervade questa figura non è quello di antitesi verso la società, intesa come consesso di uomini, ma contro quella che è la società del profitto e dell’alienazione, che vede nell’atteggiamento passivamente recettivo di tutta una serie di messaggi provenienti dal mercato globale, una perdita immane di risorse e di creatività. L’hacker nutre un profondo interesse per le dinamiche sociali e si muove tra le pieghe lasciate libere dal mercato del profitto nell’ordine di creare maggior benessere e consapevolezza, lontano però da logiche consumistiche di mainstream; tutto questo giocato nella logica del divertimento e del gioco. L’architettura vista in quest’ottica è una fare sociale, qualcosa che avvicina gli uomini, rendendoli partecipi di un processo che tende a migliorare le proprie condizioni di vita, benessere e salute. L’operare in reti, a sciame, diviene la base di questa dinamica speculativa, la metafora del gruppo di ciclisti chiarisce bene l’orizzonte in cui ci muoviamo. Il percorso del racconto si snoda individuando nel segno delle avanguardie artistiche del novecento, una serie di esperienze e di modi di guardare all’arte e all’architetture prossime ad esso. Un percorso interessante che muovendosi dai Futuristi, i quali individuavano nelle possibilità nascoste della tecnologia, usata dalla società in maniera deterministica, il loro divertimento; passando per il Bauhaus, dove il gioco ed il divertimento erano alla base del progettare: una modalità di approccio appassionato dalla progettazione, che seguiva l’oggetto dalla sua genesi fino alla messa in produzione. Se si volesse trovare un neo a questo atteggiamento è di sicuro l’anonimato in cui squadre di progettisti valenti lavoravano senza visibilità alcuna. L’operare libero, fragile e piacevole del Bauhaus cessò nel 1933 con la sua chiusura. Questi aggettivi la relazionano all’esperienza editoriale del movimento Letterista di cui Debord fu uno dei protagonisti, con il suo libro Memoires, disegni, scritti di altri autori riassemblati in maniera creativa, avvolti in carta vetrata: un libro, che alcuni, definirono “creato per distruggere gli altri libri”, l’autore lo definì invece come “atto d’amore avvolto in carta vetrata”, una esperienza del libro che ognuno poteva vivere ed interpretare soggettivamente e creativamente. La Yale School of Architecture diretta da Roudolph, propose un percorso innovativo per gli studenti, creando una forte dinamica di scambio tra studenti facoltà ed edificio che definì cross pollination. L’architetto Hejduk apportò una grossa novità in questo tipo di approccio all’architettura, il concepire l’architettura come processo collettivo, arricchito nel suo dispiegarsi perfino da apporti casuali. Gli hacker hanno cercato attraverso dimensioni divertenti, giocose e creative di comunicare le idee alla base del loro agire, che per lo più sono divenute manifeste attraverso interventi fisici. Movimenti come i TOOOL, Fronte di liberazione dei cartelloni, Surveillance Camera Players, Radio Libera, sli stessi skaters, hanno manifestato il loro modo alternativo di guardare alla realtà, le crisi che alcuni sistemi potevano arrecare se usati in maniera non conforme. Sicuramente l’aspetto più interessante del libro è quello che apre uno sguardo ricco di proposte su alcune ricerche attuali che permeano più strati della società, dai committenti agli studenti fino ai professionisti che si muovono in campi creativi come la progettazione di nuovi quartieri ecocompatibili, case low cost, rivitalizzazione di interi brani città abbandonate. Queste esperienze vengono svolte in Laboratori, sul campo e divulgate nei festival. La lettura di questo libro è inestimabile per chi volesse essere partecipe di ciò che si muove nelle pieghe della società attuale, che guarda verso un futuro liberato dai soli interessi economici ed aperto ad abbracciare l’utopia del benessere generalizzato; benessere reificato dalle proposte di uno sciame creativo.

martedì 21 aprile 2009

In between tra il sogno e la vita reale.

Riflessioni sullo schermo.

Il venire alla luce è la metafora che meglio connota la nostra nascita. Sarà questa luce il punto ultimo della nostra ricerca? oppure quante volte si può nascere nella propria vita? Quante luci possiamo collegare ai vari momenti della stessa? Nel film “Intervista con il vampiro”, il neo vampirizzato Luis scopre il mondo in una luce nuova, un mondo ricco di altre suggestioni e di altre creature, compie un salto in una realtà altra illuminata da una luce notturna, che vivifica un universo oscuro prima sconosciuto. Una nuova realtà si apre quindi davanti ai suoi occhi, ineffabile per noi umani. Eppure lo stesso vampiro guarderà la sua ultima aurora con sommo struggimento e riscoprirà con una forte emozione la luce del giorno mediata attraverso lo schermo cinematografico. Un nuovo inizio, il ritorno alla luce che via via con il progredire delle macchine da presa restituirà lui l’emozione perduta dei colori e delle cromie degli oggetti alla luce del sole. Questa film ben descrive la nuove nascite che possiamo avere nella nostra vita, la scoperta di nuovi mondi illuminati da luci diverse. Lo schermo/specchio di “Alice nel paese delle meraviglie” si implementa di significati, non è più la porzione di mondo che è riflesso in esso l’orizzonte della scoperta, la proiezione del nostro io. Il cinema per primo ci estende nell’universo, ci trasporta in altre dimensioni. Ma il nostro transito in quel caso è momentaneo, lo schermo si spegne e ripiombiamo nella realtà. La televisione rappresenta un ulteriore transito, la luce del suo schermo ci segue fin dal momento in cui siamo coscienti, è una luce prossima, una presenza costante, una balia/monitor che ci accoglie. La televisione ci fa partecipi di luci artificiali e reali, ci da l’emozione delle luci altrui. Eppure non potrò mai esperire l’essere inondati dalla forte luce dei grandi spazi americani non vivendoli; eppure riconoscerò questa sensazione quando avrò l’occasione di spostarmi e bearmi di essa. La televisione mero strumento di intrattenimento è la misura di quanto il sogno del cinema si sia esteso nelle nostre vite, è il perdurare di alcune emozioni, la possibilità di viverne di nuove differenti per intensità e per capacità di suscitare interesse. Il mondo delle immagini così prossimo a noi è in qualche modo ancora non manipolabile, rimane lontano da noi. Possiamo dialogare con esso solo attraverso pochi strumenti, ma non possiamo certamente stravolgerne il palinsesto. Ecco a questo punto il sorgere di un nuovo monitor, un personal computer dotato di monitor, un monitor che quando si accende è come se fosse un televisore, capace di darci la stessa emozione del colore e della luce, la differenza epocale è che adesso siamo noi in parte a crearne il palinsesto a muoverci in esso e a scriverne tutti i giorni la storia. Il rapporto tra noi e il nostro “televisore confidenziale” apre nuovi mondi e ci proietta in essi in maniera forte. Nella “Rosa purpurea del Cairo” il protagonista fuoriesce dallo schermo, perché nell’interazione che noi immaginiamo statica, tra il monitor e la realtà, si apre una via di comunicazione che gli permette di innamorarsi di una donna in sala e di trasportarla nella sua realtà. E’ questo che tutti i giorni crea l’interazione con il nostro monitor, reifica i nostri pensieri, le nostre interazioni con altre categorie del reale. La realtà non vive più di solo reale, ma si arricchisce sempre più di suggestioni veicolate attraverso strumenti mediati da sistemi informativi. Immaginatevi quale sia la forza di poter trasportare moltissimi brani musicali con se, di quanto sia cinematografico/televisivo questo piccolo gesto quotidiano.
La colonna sonora che narra e dispiega le immagini dei film e gli stati d’animo diventa una componente forte della nostra vita. Possiamo noi stessi creare una fitta mappa di memorie sonore, collegarle ai luoghi simbolo della nostra vita, muovendoci in essi con lo stupore, la rabbia, l’incanto con cui i protagonisti dei film si muovono nella loro realtà. Possiamo noi stessi definire con una playlist il nostro fattore umorale o farci semplicemente cullare da essa mentre guardiamo assorti le rovine dei fori sull’autobus che ci porta a casa. E se l’interazione tra reale e virtuale fosse patologica giungendo a derive tragiche? Il film Funny Games in due momenti topici: la scena del rewind ed in quella finale affronta la perdita del rapporto con la realtà. Nella scena finale, forse la più significativa, i protagonisti stessi si interrogano coscientemente tra le interazioni tra loro stessi e il mondo dell’immaginazione; la distinzione tra reale e virtuale, svuotata della responsabilità e dell’etica, sarà sicuramente una questione sulla quale il futuro dovrà interrogarsi.